SICUREZZA NAZIONALE E PRIVACY IN MANO CINESE?

Post di Giuseppe Gambioli


In Cina l’economia e la sua espansione è alla mercé dello Stato al punto che, in nome della sicurezza nazionale, ogni azienda, sia pubblica che privata, è obbligata a condividere le informazioni con i vertici militari, avere un rappresentante del partito comunista al proprio interno e rispondere al governo di Pechino.

Impensabile per noi occidentali che, in nome della tutela della privacy personale, abbiamo leggi che ci tutelano e che sono oggetto di continua attenzione e contromisure nei confronti di chi tenta di violarle, in particolare nei confronti dei grossi social media come Facebook, Instagram, ecc applicando loro multe miliardarie.

Il possesso delle nostre informazioni personali, se utilizzate ad arte, potrà essere sfruttato per condizionare le nostre scelte, acquistare un prodotto, votare un certo partito, e chissà cos’altro.

Questo condizionamento diventa una grave minaccia per un intero Stato quando i dati sensibili di quello Stato sono alla mercé di altri. Se poi questi altri sono dei criminali o uno Stato dittatoriale come la Cina, i rischi sono davvero allarmanti.

Il futuro sarà sempre più cibernetico con l’uso di dispositivi e macchine capaci addirittura di simulare le funzioni del cervello umano e autogestirsi. Le strutture strategiche di una nazione saranno quindi competitive ed efficienti se dotate di queste innovazioni tecnologiche con l’opportunità di essere accessibili da qualsiasi punto del globo ma anche manipolate se non saranno opportunamente difese da un firewall più che efficace.
Nella cyber-security italiana c’è allarme e fondate preoccupazioni per la sicurezza dei nostri dati sensibili poiché stiamo diventando sempre più dipendenti dalle infrastrutture delle reti 5G cinesi, Huawei e Zte, al punto che dobbiamo rivolgerci a ditte cinesi per l’installazione, la configurazione e la manutenzione degli hardware.
In questo caso la sicurezza informatica nazionale e i nostri dati sensibili sono a maggior rischio non solo per la grande difficoltà di controllare le potenzialità sempre maggiori e complesse di macchinari che utilizzano la cibernetica ma soprattutto per la situazione politica di regime cui le aziende cinesi devono sottostare, che non risponde minimamente ai nostri principi economici e commerciali, essendo obbligate a condividere le informazioni con i vertici militari cinesi.
Ciò non è una cosa di poco conto essendo la Cina uno Stato totalitario in cui la violazione dei diritti umani è di norma, la pena di morte si applica senza indugi e uno dei reati più gravi, giustificato dalla “sicurezza nazionale”, è considerato quello di tradimento allo Stato e al partito Comunista.
L’Italia sembra ignorare le agenzie occidentali di cybersicurezza che già nel 2009 avevano bandito Huawei dagli appalti per le infrastrutture critiche e si è proceduto invece a stringere nuovi accordi che interessano praticamente tutte le reti di telecomunicazione, l’Enel, le Ferrovie dello Stato e le Poste Italiane, la rete 5G a Milano e parte del Sud Italia mentre altri Stati hanno bloccato l’accesso alla tecnologia 5G cinese.
Un atteggiamento imprudente e irresponsabile che potrebbe portarci delle sorprese amare poiché sarà sempre più difficile rinegoziare quello “ceduto” oggi sia contrattualmente sia nella gestione e programmazione degli hardware e dei software.

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