ECCO DI NUOVO L’ETERNA SEMPLIFICAZIONE CHE NON SEMPLIFICA

LA MEMORIA CORTA DEL GOVERNO SULLA SEMPLIFICAZIONE

Riportiamo l’articolo di Franco Torchia pubblicato oggi sul quotidiano “L’Opinione delle Libertà”

In questi ultimi difficili mesi forse più che mai i cittadini italiani hanno compreso come nel nostro Paese ci siano delle cose che non funzionano. Lo abbiamo visto nel momento in cui il Governo ha emanato provvedimenti per far fronte alla crisi economica derivante dalla pandemia. In particolare, la cassa integrazione attesa dai lavoratori è arrivata con grave ritardo, mentre l’Inps quotidianamente comunicava che tutto era a posto. La disfunzione ha fatto arrabbiare lavoratori ed imprenditori ed il Governo è stato fatto oggetto di legittime contumelie da chi si aspettava interventi rapidi.

Di fronte a questa situazione, il presidente del Consiglio, prima, durante e dopo gli Stati generali, ha annunciato la volontà di “reinventare” il Paese partendo dalla semplificazione.

È un problema, questo, particolarmente sentito che ricorre ormai quotidianamente nei discorsi dei politici, degli analisti e soprattutto nel mondo delle imprese le quali si devono continuamente rivolgere a professionisti non solo per applicare le norme, ma anche solamente per leggerle.

Il punto è proprio questo: leggere, capire le norme ed applicarle.

E quando esse sono incomprensibili e di difficile attuazione anche la Pubblica amministrazione appare inefficiente e soprattutto diventa il capro espiatorio del governo di turno che ha bisogno di giustificare ritardi e disservizi.

La politica quindi programma la semplificazione amministrativa, ma la storia ci insegna che essa non potrà mai dare i risultati richiesti se non è preceduta e accompagnata dalla semplificazione normativa che elimini lacci e lacciuoli giuridici che, di fatto, limitano l’efficienza della Pubblica amministrazione e, talvolta, addirittura le impediscono di agire.

Ci sono oggi migliaia di norme che si intersecano tra di loro in una rete quasi inestricabile di leggi, decreti e regolamenti amministrativi spesso sovrapposti o talora contraddetti da successive ed immediate disposizioni. Di qui la quasi certezza che la legislazione in Italia viene spesso improvvisata. Lo è stata soprattutto in questa legislatura. Sarebbe quindi apprezzabile la volontà del Governo di procedere alla semplificazione per diminuire il peso di oneri burocratici e regolamentari. Se non fosse che, come sempre, tra il dire e il fare c’è di mezzo l’incompetenza e l’impotenza.

Il presidente del Consiglio ha annunciato l’intenzione del Governo di approvare entro la prossima settimana un disegno di legge sulla semplificazione. Al di là dei commenti generali credo che non ci possiamo aspettare nessuna particolare novità, soprattutto perché noi, al contrario del Governo, non abbiamo la memoria corta.

Vogliamo infatti ricordare che il primo Governo Conte, con la stessa esaltazione odierna, un anno fa ha annunciato ed approvato in Consiglio dei ministri, dieci disegni di legge delega, collegati alla legge di bilancio per il 2019, presentati come un grande progetto di semplificazione.

Si è trattato senza dubbio di una ottima operazione di propaganda considerato che quei disegni di legge sono ancora fermi in Parlamento e per alcuni di essi non è mai cominciato l’esame legislativo.

Il più importante di essi prevedeva all’art. 3 una serie di decreti legislativi per il riordino normativo di molti settori che vanno dall’ energia ed ambiente ai contratti pubblici, dalla corruzione alla giustizia tributaria, dall’agricoltura al turismo e alla sanità, dal lavoro all’istruzione, e la revisione del codice civile e di quello dei beni culturali e del paesaggio.

Tra l’altro va considerato che un decreto semplificazioni in materia di imprese e di modernizzazione dell’azione pubblica era già diventato legge appena qualche giorno prima e, a distanza di oltre un anno, sono stati adottati soltanto due dei 13 decreti attuativi previsti.

Ed allora ci chiediamo che senso abbia annunciare altri provvedimenti e non pensare invece di impegnarsi per approvare quelli già esistenti ed eventualmente apportare delle modifiche, se necessarie.

Forse perché è vero che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte vive soltanto di annunci.

Se il governo volesse veramente semplificare dovrebbe cominciare dalla propria azione e dotarsi di uffici legislativi in grado di evitare di scrivere norme confuse e disordinate, limitare l’uso distorto di decreti legge che, in contrasto con la costituzione, vengono emessi anche senza che ci siano gli estremi dell’urgenza e della necessità, evitare l’approvazione “salvo intese”, che significa ulteriori approfondimenti, modifiche ed aggiustamenti, con il conseguente allungamento dei tempi di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Esempi significativi sono stati il decreto sblocca cantieri che è stato pubblicato dopo 29 giorni ed il decreto crescita dopo 26 giorni, entrambi del primo Governo Conte.

Ricordiamo la stessa trafila anche alcune settimane fa per il Decreto rilancio.

Evitare soprattutto che i provvedimenti, durante l’iter legislativo vengano, completamente stravolti.

Evitare i continui richiami e rimandi a norme precedenti e limitare l’uso frequente di decreti attuativi che allungano i tempi della attuazione delle misure previste. Senza di essi infatti la legge sarebbe incompleta e quindi inapplicata.

Sono proprio questi una nota dolente della attuale normazione.

In soli due anni di legislatura i decreti attuativi richiesti dai provvedimenti approvati o all’esame del Parlamento sono quasi 800 di cui 130 previsti dal solo decreto rilancio.

Di questi solamente 160 sono stati adottati e ne mancano all’appello ancora 640.

La stessa Legge di Bilancio 2020 ne contiene 124 di cui, a sei mesi di distanza, solo 2 adottati.

Allora si comprende bene quali sono i veri ostacoli al rilancio del Paese e quale sia la chiave per ridare competitività al Sistema Italia.

Vi è quindi la necessità di un netto miglioramento della qualità normativa, ponendo un argine alla decretazione d’urgenza, operando sempre il coordinamento normativo al fine di evitare il più possibile richiami e rimandi che diventano incomprensibili.

Soprattutto bisogna recuperare il famoso meccanismo “taglia leggi” che nel 2005, operò una importante pulizia normativa, attraverso l’abrogazione, su segnalazione delle amministrazioni competenti, di tutte le norme pubblicate anteriormente al 1° gennaio 1970, ritenute vetuste o che avevano esaurito gli effetti.

Infine provvedere sulla base di specifiche deleghe al sistematico riordino della legislazione, riprendendo il percorso della codificazione per settore avendo come punto di riferimento le competenze dei singoli Dicasteri.

Si arriverebbe in tal modo ad un vero e proprio riassetto di tutto il sistema normativo.

Questo si potrà fare soltanto se si ha contezza che si tratta di un problema istituzionale di grande impatto nell’economia e nel sistema amministrativo del Paese che non è di destra o di sinistra, che non serve né a questa maggioranza né a quelle che verranno.

Serve a tutti i cittadini italiani e alle imprese.

Proprio per questo richiede la convergenza di maggioranza ed opposizione ed il consenso di tutte le forze sociali.

Se il Governo riuscirà a fare questo avrà compiuto il passo più importante in direzione di un vero rilancio dell’Italia.

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