L’IMMORALITA’ DI UNA SOCIETA’ ASSISTITA

Di seguito riportiamo l’articolo dell’amico Franco Torchia pubblicato oggi sul quotidiano on line Nuovo Giornale Nazionale.

L’immoralità di una società di assistiti

di Franco Torchia

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Dalle polemiche sul blocco dei licenziamenti all’aumento della disoccupazione giovanile,  dal Reddito di cittadinanza che è cumulabile con l’assegno unico al nuovo regalo di 4.680 euro dell’Inps a tutte quelle centinaia di migliaia di persone che facendo finta di voler lavorare bivaccano sui divani di casa.

Da qui la necessità che il Premier intervenga per evitare che l’assistenza diventi il modus vivendi di milioni di italiani.

Di tutto questo ne parliamo nelle prossime righe.

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Dopo la polemica di questi giorni sul blocco dei licenziamenti, il ministro Orlando ha annunciato per il mese di luglio la riforma degli ammortizzatori sociali.

Sono oltre 20 anni che se ne parla e nonostante alcuni specifici interventi, come quello del 2004 in tema di Cassa Integrazione, del 2006 sulla mobilità lunga o quello del 2012, la legge del 2014 sul Jobs act ha previsto una delega approvata nel 2015 per il riordino dell’intera materia.

Tuttavia la grave crisi pandemica nel nostro Paese ed i provvedimenti del governo a tutela dei lavoratori e delle imprese ha messo in crisi tutto il sistema rendendo obsoleto e fuori dal mondo tutto il dibattito sul blocco dei licenziamenti ed evidenziando la necessità di un nuovo intervento che superi il dualismo tra le posizioni del Governo e delle imprese e quelle dei sindacati.

Certamente occorre trovare un punto di equilibrio ed una soluzione che faccia uscire da questa impasse evitando di procurare maggiori danni di quanti ne abbia provocati la pandemia e, soprattutto, avendo a cuore le sorti del Paese e delle future generazioni sulle cui spalle peserà il debito sottoscritto con il Recovery Plan e con gli altri provvedimenti del Governo.

La cassa integrazione e gli altri strumenti messi in campo in questo anno si sono resi tutti necessari per supportare la situazione drammatica delle imprese e dei lavoratori, ma rappresenteranno un grosso fardello per la vita economica del nostro Paese e degli italiani almeno per i prossimi due decenni.

Gran parte delle iniziative legate alle politiche attive per il lavoro si sono dimostrate fallimentari e quel che resta del sistema industriale italiano sta affrontando in quasi solitudine le sfide dell’innovazione e della digitalizzazione che il mondo globalizzato ed commercio on line hanno imposto, puntando sulla rigenerazione di un mercato del lavoro che ha dimostrato tutta la sua inadeguatezza rispetto alla domanda di nuove professionalità e di lavoratori specializzati.

Il sistema è obsoleto ormai da molto tempo e va interamente rivisto. Non basta infatti  oliare un ingranaggio già fortemente arrugginito.

Occorre rivedere completamente le modalità di formazione e gli strumenti di accesso al mercato del lavoro, ma per farlo occorre sostituire la catena di distribuzione che collega il mondo dell’istruzione a quello del lavoro perché in questi anni ha più volte deragliato dal suo naturale percorso.

La situazione è completamente peggiorata negli ultimi anni  e molti giovani, dopo il percorso scolastico e universitario, non sono riusciti a trovare occupazione e temendo di non poter esaudire i propri desideri e realizzare i propri sogni si sono completamente sfiduciati.

Molti si sono dovuti accontentare di offerte generiche di lavoro precario e sottopagato o addirittura pagato in nero ed orari di lavoro insostenibili.

Moltissimi invece hanno scelto la strada dell’emigrazione in cerca di prospettive che l’Italia non è al momento in grado di offrire.

Soluzioni certe all’orizzonte non se ne vedono e fino a quando non si riuscirà a scardinare un sistema scolastico fortemente arretrato nella formazione e nelle strutture, si continueranno a sfornare giovani che inevitabilmente andranno ad arricchire le file degli inattivi.

Così come occorre il bisturi per intervenire drasticamente per la eliminazione di quelle norme rigide che bloccano la flessibilità del mercato del lavoro impedendo al mondo delle imprese di attingere a nuove forze lavoro se non attraverso contratti di lavoro temporanei, ma impedendo soprattutto a centinaia di migliaia di giovani di dimostrare la propria capacità di emanciparsi dalla famiglia attivando una prospettiva di un lavoro stabile.

L’indicatore che più di ogni altro segnala questa grave inefficienza è il numero elevatissimo di persone scoraggiate che non studiano e nemmeno cercano un lavoro, i cosiddetti inattivi, che in Italia sono 13.758.000, il 23% della popolazione, 500 mila in più rispetto al mese di gennaio 2020.

Ciò significa che la pandemia ha inciso pochissimo rispetto alla scelta di non cercare una occupazione.

Mentre gli occupati sono diminuiti di 900 mila unità nonostante il blocco dei licenziamenti e la Cassa integrazione.

Ad aprile 2021 gli occupati nel nostro Paese erano 23,205 milioni pari al 56,9% rispetto al 58,8% di gennaio 2020, le persone in cerca di occupazione 2,670 milioni, ovvero il 10,7%, rispetto al 9,8% di gennaio 2020 ed i giovani in cerca di occupazione sono al 34%, una percentuale altissima che condiziona la vita dei giovani fino a 25 anni, quelli che chiamiamo la Generazione Z e li rende insicuri sia nella vita reale sia nel rapporto con la famiglia.

Rispetto ai Millennials, la generazione tra i 25 e i 40 anni, i giovanissimi si trovano ad affrontare una situazione più difficile ma sono coscienti che la loro vita lavorativa sarà molto flessibile e sono pronti quindi ad affrontare un mondo nel quale dovranno cimentarsi a fare i lavori più disparati, precari, senza nemmeno la prospettiva di una pensione sicura.

Di fronte a questa tragedia che investe questa generazione sulla quale, come abbiamo detto, pesa il macigno del debito pubblico italiano è assolutamente immorale continuare a sperperare il denaro pubblico per assistere altre centinaia di migliaia di persone che nemmeno sono sfiorate dall’idea di lavorare né tantomeno di rendersi utili alla collettività.

Secondo i dati dell’Inps, da quando,  ad aprile 2019, è stato istituito il reddito di cittadinanza è costato oltre 14 miliardi di euro per una spesa mensile di oltre 650 milioni e lo hanno percepito circa 1, 2 milioni di nuclei familiari, con oltre 3 milioni di  persone coinvolte.

Da evidenziare che non è stato il Covid 19 ad incidere su questa enorme spesa perché i percettori del reddito già a gennaio 2020 erano 920 mila per una spesa mensile di 504 milioni.

La pandemia ci ha messo sicuramente del suo.

Ma la voglia di farsi assistere dallo Stato è ormai entrata nel Dna di molti italiani.

Questa tendenza si accentuerà dal primo luglio quando anche i percettori del reddito di cittadinanza con figli a carico percepiranno l’assegno unico universale che sarà riconosciuto alle famiglie che hanno un reddito inferiore  ad 8000 euro.

Si tratta di 167 euro per il primo figlio e di altrettanti per il secondo che diventano 653 euro con il terzo figlio e 871 con il quarto.

L’assegno è dovuto a partire dal settimo mese di gravidanza e fino al 21º anno di età.

Nulla da dire ovviamente su quella che è considerata una conquista di civiltà, il necessario e doveroso sostegno finanziario per le famiglie numerose, che anzi sarebbe dovuta arrivare già molto tempo fa.

Peccato però che l’assegno unico sia compatibile e diventa cumulabile anche con il reddito di cittadinanza tanto che si calcola già che alcune famiglie potrebbero arrivare fino a 2000 euro al mese.

Non mi piace infierire su nessuno, ma c’è ancora dell’altro

Per i percettori del reddito di cittadinanza c’è infatti un altro regalo in arrivo.

L’articolo 8 della legge istitutiva del Reddito di cittadinanza prevedeva che ai beneficiari che avessero avviato un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale entro i primi 12 mesi fosse stato riconosciuto in un’unica soluzione un beneficio addizionale pari a 6 mensilità di 780 euro.

Si tratta di un sostegno aggiuntivo di 4.680 euro, a titolo di incentivo per l’avvio di attività di lavoro autonomo, di impresa individuale o di società cooperativa.

Al di là quindi della partecipazione o meno ad una cooperativa, nei prossimi giorni assisteremo sicuramente a lunghissime file davanti agli sportelli dell’Agenzia delle Entrate o delle Camere di Commercio per l’apertura di partite iva individuali che, “passata la festa, gabbato lo santo”, e quindi usufruito del bonus governativo, provvederanno sistematicamente alla loro chiusura.

E’ uno schiaffo a tutte quelle persone che onestamente si sacrificano quotidianamente per non far mancare il cibo alla propria famiglia, senza distinzioni di sorta.

Pertanto chiediamo con forza al premier Draghi  di intervenire per evitare che centinaia di migliaia di persone che non avendo nessuna volontà di trovare lavoro continuino ad essere assistite dallo Stato mentre bivaccano sui divani di casa a guardare la tv o a chattare sui social.

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