217 ANNI FA NASCEVA GIUSEPPE MAZZINI

In occasione della ricorrenza ( il 217° anniversario) della nascita di Giuseppe Mazzini (Genova, 1805- Pisa, 1872), riprononiamo uno scritto di Francesco Nucara,  scomparso lo scorso 12 maggio, pubblicato sul numero speciale de “La Voce repubblicana” del 22 giugno 2018.

Stato, Europa, Mezzogiorno La crisi dei partiti si riversa sullo Stato e sulla democrazia

di Francesco Nucara

“Je suis l’Etat” – (Io sono lo Stato).

La sindrome del Cesarismo.

Mazzini scrivendo ai giovani dell’Università di Palermo nel Maggio del 1865 affermava: “… Cesarismo, che è il papato applicato alla vita politica delle Nazioni.”

All’epoca c’erano due Cesare: il Papa e il Re. Oggi ne abbiamo quattro: Di Maio, e Salvini e Bergoglio e Ratzinger.

Malgrado sia passato più di un secolo e mezzo le parole dell’Apostolo genovese valgono ancora oggi: “I posteri diranno che nessuno può ingigantirsi per salire ch’ei faccia sulla statura d’un grande. Senza scintilla di genio, col solo misero ingegno del Male, e forte unicamente, per breve periodo, dell’altrui corruttele e dell’altrui paura, ci morrà senza fondar dinastia; …”

Abbiamo deciso di pubblicare un numero speciale de “La Voce Repubblicana” a quanti vogliano alimentare la loro conoscenza.

Il pensiero repubblicano dovrebbe essere studiato, per poter capire la genesi della Repubblica e la sua conseguente applicazione in una democrazia liberale.

Essere a conoscenza del pensiero repubblicano, indipendentemente dall’ appartenenza a un partito, gioverebbe all’attuale classe dirigente al fine di evitare strafalcioni politici e costituzionali.

Riteniamo che il pensiero repubblicano abbia la sua matrice in Giuseppe Mazzini ed abbia avuto una evoluzione nel tempo a seconda dei vari interpreti.

C’è stato chi ha pensato di sfruttarlo a fini propri (Mussolini) e chi ha pensato di trasformare quello che poteva essere un totem in un organismo vivo e attivo, arricchendolo secondo la modernizzazione della società.

Tra i tanti, tantissimi cultori del pensiero mazziniano, mi piace ricordarne due: Giovanni Conti e Randolfo Pacciardi.

Ma anche chi con il mazzinianesimo non era cresciuto ha interpretato con efficacia e lungimiranza gli ideali di Mazzini. Parliamo di Ugo La Malfa. Era appena arrivato al Partito Repubblicano e già all’Assemblea Costituente presentava un emendamento all’art.1 della Costituzione che così recitava: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sui diritti del lavoro e sui diritti di libertà”. E nell’illustrare l’emendamento sosteneva quanto è patrimonio del mondo repubblicano e dovrebbe esserlo di tutti i democratici: “(questo emendamento n.d.s.) … ha lo scopo di fissare questa costruzione non solo rispetto all’equilibrio attuale, ma rispetto allo svolgimento futuro e ciò allo scopo di stabilità e di continuità, di sicurezza e di obiettività alla nostra Costituzione.” L’emendamento, in questa forma, fu bocciato e l’accordo tra democratici e comunisti ci regalò la forma attuale dell’art.1.

L’involuzione del processo democratico ci regala, invece, classi dirigenti che, quasi ad ogni legislatura, vogliono stravolgere la Costituzione. Ovviamente, essendo forze politiche di maggioranza diverse e spesso antitetiche, propongono soluzioni contrastanti. Va aggiunto che, quando non ci riescono per via costituzionale, pensano di cambiarla con comportamenti e decisioni che trasformano la Costituzione scritta in Costituzione materiale. Prova ne sia la recente querelle sulla nomina dei ministri.

Il testo costituzionale all’art.92 recita: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri.” Orbene, se i costituenti hanno voluto che i ministri li nominasse il Presidente della Repubblica, ciò significa solamente una cosa: che tra la proposta e la nomina ci deve essere un equilibrio, e il buon senso vorrebbe che, prima di dare pubblicità, il Presidente del Consiglio consulti il Presidente della Repubblica. Procedura peraltro rispettata da tutti i precedenti capi di governo. Tuttavia, essendo cambiato il mondo, la forza politica, rivelatesi più consistente, già prima del risultato elettorale aveva inviato al Quirinale la lista dei ministri.

Siamo sicuri che siamo in Repubblica?

Si dice: la sovranità appartiene al popolo; francamente vorrei fare a meno di sovrani e vorrei vivere in un mondo ordinato dove i media facciano informazione e non propaganda per tizio o caio a seconda dello share.

A mio avviso il vero sovrano è l’auditel.

Può il filone del pensiero repubblicano pensare all’Europa come a un nemico e all’Euro come alla causa dei nostri mali?

Forse il padre o il nonno dell’Euro è stato Ugo La Malfa, il quale il 13 Dicembre 1978, con un memorabile discorso alla Camera dei Deputati, quasi impose al Governo italiano l’ingresso nel Sistema Monetario Europeo. E così concludeva: “Se questa Europa non riesce a realizzarsi come unità contro le spinte particolari, viene a mancare un grande momento della storia europea, ma viene a mancare anche un grande momento della storia del mondo.” Quel visionario di Ugo La Malfa aveva intravisto nel 1954 quello che sarebbe successo nell’attuale momento politico.

Infatti in un suo articolo su “La Voce Repubblicana” così si esprimeva: “L’Europa è di fronte a se stessa, con i suoi grandi problemi, e con i suoi secolari contrasti. Il compito di unificare l’Europa, appunto per l’esistenza di un passato così orgoglioso per ciascuno degli stati europei, è estremamente difficile, quasi al di sopra delle forze umane. Ma al di qua di questo compito non vi è esattamente nulla: una vita tormentata al riparo della potenza atomica americana o la genuflessione timorata dinanzi ai potenti del Cremlino da cui in definitiva dipenderà la sorte di ogni piccolo stato europeo.

” Più che visioni sembrano profezie che puntualmente si avverano.

L’idea che prevale oggi è che l’Europa sia la causa della nostra crisi e invece basterebbe leggere quanto scrive il Ministro dell’Economia, Giovanni Tria, per capire che la crisi è tutta italiana. Quando si interpretano le alleanze politiche come “contratto” vuol dire che la crisi è irreversibile. L’Italia è divisa in due socialmente, civilmente, politicamente, ecc. ecc.

Con la fine dei partiti, la cui lenta agonia era iniziata all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, è mancato qualsiasi indirizzo politico.

Sono finite le ideologie, e di ciò noi laici dovremmo essere contenti, ma sono venuti a mancare anche gli ideali. Da queste carenze nasce il populismo che così definiva Spadolini, rispondendo a Garimberti in un’intervista con più giornalisti, andata in onda su Canale 5: “In questa forma che lei chiama populismo c’è molto di tribalismo di fanatismo, cioè tornano i piccoli luoghi, i piccoli centri a costruire motivo di identità nazionale.”

Ma perché si è arrivati al populismo?

Il processo è stato lento ma inesorabile per la fine della democrazia. Ma democrazia non significa un voto in più, come non significa uno vale uno: questa non è democrazia, ma solo demagogia e anche a buon mercato.

Finiti gli ideali che avevano unito gli italiani nella lotta al fascismo e nella battaglia per la Repubblica, finito il boom economico, si è pensato che la crisi della società italiana e il suo dualismo economico e sociale fossero ormai alle nostre spalle.

I partiti che erano stati il motore di quelle idealità, con il passare degli anni divennero prima autoreferenziali e poi personali.

Come al solito Ugo La Malfa aveva anticipato questa insopportabile situazione.

Nel 1961 infatti presentò un proposta d’inchiesta parlamentare su “Potere politico e pubblica amministrazione.”

Nel 1965, in un convegno svoltosi al Ridotto dell’Eliseo in Roma, fu presentata al pubblico una proposta con “Lo schema normativo per un disegno di legge sui partiti”.

In quell’occasione il giurista Giuseppe Maranini, impedito a parteciparvi, scrisse un messaggio in cui tra l’altro sosteneva: “Forse il vostro pensiero si rivolge essenzialmente alla regolamentazione giuridica dei partiti. Molto potrà e dovrà essere fatto in questa direzione.
Ma credo ci sia un circolo reciproco tra il disordine nei partiti e il disordine nello Stato.”

È questo il motivo dell’attuale populismo: la crisi dei partiti che si riversa nello Stato, o forse sarà il contrario. Eravamo nel 1965; il lento logorio delle istituzioni ha creato questo caos.

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