LASCIATE CHE CI PENSI IL MERCATO
LASCIATE CHE CI PENSI IL MERCATO
di Riccardo Gallo*
Il mondo delle imprese industriali e quello dei consumatori hanno reagito in modo veemente e preoccupato ai dazi imposti all’UE dall’Amministrazione Trump.
Per Emanuele Orsini presidente di Confindustria «si rischia la tenuta economica e sociale… dell’Unione, è un attacco alle imprese e al lavoro europei. Dobbiamo pensare a misure straordinarie, i provvedimenti annunciati a Bruxelles non bastano». I dazi di Trump sono «la principale causa dei timori delle famiglie americane sul futuro perché l’aumento dei prelievi alla frontiera rischia di tradursi in prezzi più alti nei supermercati e negli autosaloni», ha notato Federico Fubini sul Corriere di ieri.
È curioso che 74 anni fa lo stesso mondo industriale italiano, fino ad allora assuefatto al protezionismo del regime fascista, si oppose alla coraggiosa liberalizzazione degli scambi che nel 1951 il ministro del Commercio estero Ugo La Malfa volle, osteggiato dal Pci sensibile alla posizione dell’Urss, come ha ricordato tempo fa Lorenzo Mechi in un suo saggio. Quella politica di apertura commerciale costituì uno degli assi del miracolo economico italiano, nonché l’inizio dell’integrazione europea e fu molto apprezzata dalla Germania Ovest e dagli Stati Uniti, a riprova che non fu pensata per fregare gli americani, come dice Trump. Negli anni Cinquanta la crescita delle importazioni italiane fu molto più che compensata da un aumento delle esportazioni. La quota di fatturato esportata in Europa dai settori meccanico e tessile italiani raddoppiò dal 15% al 33%.
I Dati cumulativi pubblicati ogni anno dall’Area Studi Mediobanca mostrano che dal 1992 al 2012 la quota di fatturato esportata dal totale delle imprese industriali italiane medie e grandi è salita dal 22% al 39% ed è rimasta su questo livello fino a oggi, nonostante avversità di ogni genere, a prescindere dal governo di turno. È una prova della forza delle nostre imprese.
Prima della pandemia, nel 2019 era stata osservata una fase di rallentamento del processo di frammentazione delle catene globali del valore, cioè un rallentamento della globalizzazione, la cosiddetta slowbalization. Ad aprile 2020, poi, in pieno Covid il Parlamento europeo proclamò il re-shoring (o near-shoring), cioè sostenne il reintegro delle catene di approvvigionamento all’interno dell’Ue. Ma le successive statistiche di commercio internazionale hanno dimostrato che le catene globali del valore sono robuste. Gli scambi di beni intermedi sono tornati ai livelli antecedenti la crisi del 2008. La struttura geografica dei beni di investimento e degli intermedi più integrati nelle catene del valore è rimasta globalizzata.
È anche vero tuttavia che l’Europa è polarizzata. Mentre i paesi occidentali sono economie headquarter specializzate nei settori a più alto valore aggiunto o nei servizi commerciali ad alta intensità di conoscenza, i paesi periferici dell’Europa centro-orientale rimangono economie manifatturiere specializzate nelle fasi a più basso valore aggiunto della catena regionale. L’Italia è la seconda più grande economia manifatturiera europea, ma è anche quella più orientata alle produzioni tradizionali. Inoltre, le nostre imprese si collocano ai livelli intermedi o finali della catena, non sono internazionalizzate nel senso pieno del termine. Lo ha scritto Pierluigi Montalbano nel Rapporto Europa compiuta? dell’Osservatorio delle Imprese della Sapienza. Nel rapporto Much More Than A Market presentato ad aprile 2024 al Consiglio europeo, Enrico Letta ha trattato con grande qualità le principali tematiche strategiche ma non le ha articolate per nazioni. Quando invoca misure straordinarie, il presidente di Confindustria farebbe bene a esplicitare le peculiarità italiane che lui ben conosce.
Trump motiva i dazi come riequilibrio geopolitico a corredo di un processo di pace. La storia millenaria dimostra il contrario, è il libero commercio internazionale che allontana le guerre. Nell’ultimo secolo del primo millennio dopo Cristo, la Repubblica marinara di Amalfi mercanteggiava (esportava grano, legna, vino, frutta, attrezzature navali in Nord Africa, da dove importava olio, cera, spezie e oro, e poi con l’oro comprava a Bisanzio merci orientali che rivendeva nella Spagna musulmana) e così facendo realizzava scambi esenti da contrasti. Produceva un anticorpo avverso le guerre. Tra l’877 e l’880 papa Giovanni VIII fece pressioni fortissime su Pulcari prefetto di Amalfi, affinché con le sue galee difendesse il litorale laziale contro i Saraceni. Invano lo blandì, gli inviò epistole, gli spedì minacce di anatemi, lo definì «contumace della Chiesa cattolica». Pulcari resistette.
Per la pace e per il progresso, lasciamo che ci pensi il mercato.
NOTA : Il presente articolo è stato pubblicato su quotidiano “L’ALTRAVOCE” del 28 febbraio 2025
* Presidente Osservatorio delle Imprese, Sapienza Roma.