XX SETTEMBRE – IL CONTRIBUTO DI MARCELLO ATTISANO

Lo sviluppo del Paese ai “grandi conquistadores“

Ad un passo dall’autunno, ci lasciamo dietro un quadro estivo non certo entusiasmante. La caduta del ponte Morandi ci ha lasciato increduli e il dramma ha assorbito tutte le nostre energie mentali. Conversazioni estive di un’Italia, considerata tra i primi Paesi al mondo e in un attimo, su di essa, si sono aperti numerosi riflettori sulle tante criticità esistenti lungo la nostra bella penisola.

È difficile e forse, sicuramente è esagerato fare una correlazione di quanto successe nello stesso periodo 148 anni addietro quando la mattina del 20 settembre del 1870 alle ore 5,10 le mura aureliane a Roma, venivano distrutte a colpi di artiglieria aprendo una breccia a Porta Pia. Quel muro fatto erigere da Pio IV e realizzato da Michelangelo nel 1561 dopo oltre 300 anni, per cadere, doveva appunto essere abbattuto a colpi di artiglieria.

Si la correlazione è esagerata anche se Michelangelo è Michelangelo e un muro non è un ponte. Ma, da qualche parte dovevo pur partire, anche perché, quell’azione militare doveva servire all’Unità d’Italia, segnava la fine dello stato Pontificio e Roma veniva annessa al Regno d’Italia diventando capitale. Il ponte Morandi non è caduto con l’artiglieria, è caduto e basta lasciando invece 43 vittime, devastate intere famiglie a cui va il nostro cordoglio e il grande affetto di tutti i repubblicani. È un crollo che spacca clamorosamente la città di Mazzini, che è sicuramente tra le città più importanti, un corridoio indispensabile per il traffico dello scambio delle merci tra e per il nord Europa. Ma è anche un crollo che apre e questa volta seriamente, una sequela di interrogativi alla classe politica su tante scelte fatte in passato e su tante che bisogna fare. Un’Italia che pensava di essere moderna, in un mondo di tecnologie avanzate e di aver fatto scelte oculate liquidando le aziende pubbliche (perché secondo una leggenda metropolitana farraginose e portatrici di perdite economiche, vedi IRI) affidando poi, tante infrastrutture così strategiche per lo sviluppo del Paese, ai “grandi conquistadores“ gruppi privati con l’obiettivo primario, anzi strategico mirato più al grande profitto e poco all’investimento.

Del resto, nelle ultime statistiche dei grandi gruppi viene considerato che l’82% dei profitti viene incamerata nei dividenti e solo il 18% ritorna ad essere rinvestito.

Ma perché si è arrivato a tutto questo? Forse, i grandi gruppi, non pensavano che strade, scuole, ponti e infrastrutture in genere hanno bisogno di manutenzione e i profitti in buona sostante dovrebbero tornare appunto anche per mantenere le stesse opere e poi, quel che restava ridistribuito nei dividenti.

Insomma, per essere chiari, bilanci a pareggio capaci di portare lavoro, che creino altro lavoro. Come solitamente agiscono le società miste che agiscono per far riprendere quegli obiettivi primari, da valorizzare in ogni azienda, in ogni società moderna che vuole migliorarsi nel bene comune. Strategie che mirano a considerare che il valore più grande è e rimarrà sempre il capitale umano.

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