I BASTIONI DELLA PATRIA ( LA REPUBBLICA ROMANA E NOI)
9 FEBBRAIO – IL CONTRIBUTO DELL’AMICO CARLO FELICI
L’amico Carlo Felici, storico e garibaldino, che ringraziamo, ci ha trasmesso un lunghissimo scritto per ricordare la Repubblica romana.
Lo pubblichiamo a puntate.
di Carlo Felici
Questo mio scritto di oggi vuole essere una introduzione ad una storia a puntate, come quelle già pubblicate su questa antica ed illustre testata giornalistica, sul primo dopoguerra e su Fiume rivoluzionaria. E’ la storia di un bellissimo sogno vissuto con occhi spalancati e con una passione che irrora il sangue, purtroppo anche versato a fiotti.
E’ la storia di una gestazione e di un parto doloroso, durata giusto circa nove mesi, dal novembre del 1848 al luglio del 1849. Si pensava allora che, dopo la sconfitta e la morte di chi l’aveva partorita, fosse purtroppo nata una creatura morta, invece essa seppe “risorgere” circa cento anni dopo, per rinascere concretamente, vivere e renderci liberi oggi, anche se tuttora forse immeritatamente, pensando sia ai sacrifici di ormai più di 170 anni fa e a quelli di quasi 80 anni fa, nel primo e nel secondo Risorgimento. Nacque così nostra Costituzione, promulgata nel 1948, che ebbe proprio come antenata diretta quella della Repubblica Romana del 1849, entrata in vigore solo per un disperato, fulgido e glorioso giorno di vita
Perché tornare a quegli eventi, che ci appaiono ormai remoti e che solo recentemente sono stati riportati alla memoria da numerose pubblicazioni? Non certo per competere con le varie interpretazioni storiografiche, giacché il taglio di queste storie a puntate resta sempre divulgativo, anche se in maniera tale da smentire troppe facili acquisizioni correnti, troppe vulgate di comodo e politicamente fin troppo corrette.
La storia della Repubblica Romana fu a lungo politicamente scorrettissima, inizialmente perché metteva in discussione il valore di una monarchia che si era imposta con guerre di conquista e con occupazioni tese allo sfruttamento, specialmente delle zone e dei popoli meridionali del nostro Paese, e in seguito perché tali valori erano diversi sia rispetto a quelli della tradizione cattolica che a quella comunista. Quello che si affermò infatti nella Costituzione della Repubblica Romana del 1849, anche se i suoi protagonisti, come Manara non erano tutti repubblicani ma monarchici, fu un sostanziale liberal-socialismo, una democrazia repubblicana socialmente molto avanzata per allora e, sotto certi aspetti, anche per oggi, perché fondamentalmente basata sull’amore di una Patria Indipendente, ma non sovranista, cioè non tale da volersi affermare solo con una autonomia monetaria, con la xenofobia o con l’isolamento rispetto ad altre nazioni ed altri popoli europei. Era allora, piuttosto, una Giovane Italia che voleva essere ed esistere in una Giovane Europa, quella che Mazzini volle fosse esaltata, fino all’estremo sacrificio, con l’esempio della Repubblica Romana. Per costruirla arrivarono patrioti da tutta Italia e persino da varie parti d’Europa e del mondo.
E’ importante ricordarlo sia perché viviamo in tempi di sovranità sempre più limitata, perché l’orizzonte globale in cui si estende la ferrea ideologia del “capitalismus sive natura”, con cui si pretende di far credere che non esista altra verità oltre quella del contingente, non rende possibile altra libertà che non consista nel sentirsi pienamente organici ad un imperativo categoricamente vincolato alla necessità di adeguare il volere al dovere essere merce per fini di profitto, sia perché tuttora la nostra sovranità appare sotto tutela militare degli USA, economica della UE, e politica del Vaticano (basti solo pensare al numero esorbitante di presidenti di estrazione cattolica avuti dalla nascita della Repubblica nel 1946, fino ad oggi).
Così anche la nostra bella Repubblica nacque con questo imprimatur, in un’epoca in cui fu già molto importante essere riusciti ad redigere una Costituzione tra le più belle al mondo, e, potremmo dire senza tema di smentita, anche troppo “avanzata” per un popolo poco educato e ancor più scarsamente abituato alla consuetudine dei diritti e dei doveri necessari ed indissolubili in un autentico tessuto democratico. La nostra Repubblica è pertanto nata con un abito meraviglioso che però ha per molto tempo nascosto vergogne alquanto luride e meschine: servilismo, corruttele, clientelismo, ruberie, immoralità largamente diffuse nella gestione del potere e dell’amministrazione pubblica, collusioni con mafie di ogni tipo, permanenti tendenze municipaliste e centripete, sempre in agguato, quando non addirittura è risultata ostaggio di rigurgiti fascistoidi, ideologismi sterili sconfinati nel terrorismo, tali da minare il senso di appartenenza ad una comunità e ad uno Stato che, se il fascismo aveva idolatrato, la repubblica dei vari bioardi di partito o lobbisti ha continuato, nei fatti, spesso a deturpare senza ritegno.
Tutto questo, mentre gli equilibri geostrategici ci hanno fortemente condizionato al punto da non saper tuttora con chiarezza come e perché sono accadute le stragi più efferate nel nostro territorio: da Portella della Ginestra, a Bologna, a Ustica e via dicendo, enumerarle tutte per l’ennesima volta sarebbe alquanto deprimente, ma tant’è, sono lì, nella nostra storia, ancora spesso senza veri colpevoli, senza veri mandanti..
C’è mai stato un momento in cui gli italiani sono stati liberi e sovrani nella loro millenaria storia di servi di re, imperatori, papi, feudatari, dittatori e plenipotenziari? No, forse perché gli italiani hanno sempre trovato più comodo associare la libertà alla furberia di fare i loro interessi, addossando la responsabilità dei loro errori al loro “sovrano” o “dittatore”, “plutocrate” o “fiduciario economico” di turno”, e ovviamente cercando di fregarlo alla prima occasione buona, e infine impiccandolo magari per i calzoni oppure relegandolo in un luogo remoto del mare nostrum, appena non avesse più fatto comodo a tutti.
Qui la libertà è sempre stata solo un sogno di pochi eletti o di pochi mesi. Troppo nevralgico infatti è sempre stato il ruolo e la posizione di un Paese al centro di un mare che ha visto scontrarsi ed incontrarsi civiltà di ogni genere e sorta, perché qualcuno non volesse farne il suo trampolino personale adatto a tuffarsi nelle onde della sua ambizione individuale, e tutto questo fino ad oggi, quando però questo mare rischia di essere fin troppo “inquinato” persino da guerre e da poveri esseri umani, relegati nel “cassonetto” della storia
E allora, tanto per tornare ad uno di quei sogni in cui forse è bello risvegliarsi solo nella luce di una eterna ed eroica beatitudine che ha però come viatico romantico ed impossibile solo la morte, ci piace pensare all’unico sprazzo di libertà e di sovranità popolare e nazionale, di repubblica “puramente” democratica”, donata dai suoi martiri agli italiani nell’epoca moderna: la Repubblica Romana del 1849
Quella, è bene ricordarlo, non fu solo una rivoluzione o una insurrezione per una “sovranità”, i romani allora, e con essi alcuni credevano che potessero averlo anche gli italiani, un governo sovrano infatti lo avevano già, ed era quello del papa: Pio IX, che tante belle quanto vane speranze aveva suscitato, assecondando il progetto giobertiano di un paese libero sì, ma eventualmente solo dallo straniero, per il resto però, continuamente assoggettato ai sovrani locali, tutti devoti e riconoscenti verso un unico sovrano nazionale e “federale”: il papa.
I romani protestarono sì, contro il papa, quando un suo ministro e fiduciario venne ucciso, perché sostanzialmente incapace di salvare gli equilibri politici, barcamenandosi con molta spocchia tra reazionari e giacobini, quando tale missione divenne impossibile per la stessa incapacità del papa di mettersi a capo di una vera guerra di liberazione, ma soprattutto perché il popolo, una volta assaggiata la libertà, ci aveva preso gusto. Così, dopo quella uccisione, lo stesso popolo romano, non si fece vergogna di andare a “stanare” lo stesso pontefice al Quirinale, per esigere maggiori diritti, e quando le guardie svizzere lo presero a fucilate, alla fine insorse contro il Palazzo. Non prese però a cannonate quella che era allora la dimora del Papa come se fosse la Bastiglia. Anzi, chi lo conduceva si parò, per impedirlo, persino davanti ai cannoni spianati, tanto rispetto si aveva..persino delle architetture. Qualche monsignore però fu talmente impaurito ed inviperito da impugnare la pistola e voler dare una lezione ai facinorosi, magari di nascosto, da dietro una persiana, come racconta nelle sue memorie il pittore Koelman, testimone degli eventi, finendo però, a sua volta impallinato inesorabilmente. Il papa così si spaventò e scappò a Gaeta, una fortezza considerata, fino all’arrivo dei piemontesi, che la spianarono a cannonate anche a costo di fare una strage, inespugnabile.
E da lì non si trattenne più dal gridare: “Al lupo repubblicano! Al lupo comunista!” a tutta Europa, finché non fu sicuro di smuovere ben quattro eserciti contro quella scalcagnata ed irreverentissima repubblica, che però, in fondo, si limitò solo a riempire un vuoto, a colmare un horror vacui, e che pur lo fece con grandissima civiltà, memore delle migliori esperienze liberali e socialiste dell’epoca.
Scrisse allora il suo ministro degli esteri, Rusconi: “La Repubblica Romana, derisa da alcuni, detestata da altri, mal giudicata da tutti, vuol essere apprezzata sotto tre differenti aspetti: il governo, l’assemblea, il popolo. Un paese è disorganizzato quando i poteri che lo reggono sono in lotta tra di loro o non sono l’espressione vera dei sentimenti delle moltitudini….Ora questa armonia, questa concordanza si videro appunto nella barbara repubblica di Roma; governo, assemblea e popolo furono all’unisono nei sentimenti, nei desideri, nelle opere; ed è un fatto che poche volte si riscontra; se l’ordine, il benessere e la pace non sono quindi segno di barbarie, e l’anarchia, il terrore e la miseria non lo sono di civiltà, può infierirsi che Roma repubblica non fu così selvaggia quanto disse la reazione.”
Per parlare adeguatamente della Repubblica Romana, sarebbe necessaria una opera enciclopedica, o almeno un volume di vasto respiro (noi cercheremo di narrarne le vicende storiche in varie puntate senza pretesa di volere aggiungere o smentire nulla, ma solo dalla nostra prospettiva che è quella di un giornale socialista), anche perché per troppo tempo su questa esperienza cruciale della nostra storia è calato il silenzio: dalla seconda guerra mondiale al dopoguerra, in cui per altro uscirono alcuni studi importanti come quelli di Demarco, Bonomi o Rodelli, fino alle soglie del nuovo millennio, quando finalmente l’amore per questa storia un po’ dimenticata è risorto con una serie di nuove ricerche, sia a cura degli storici di professione sia ad opera di alcuni bravi giornalisti o romanzieri: basti ricordare tra i vari storici: Severini, Monsagrati, Tomassini e Fracassi, ultimo il volume di David Kertzer, oppure il romanziere e storico Evangelisti. Per circa 40 anni però se ne è parlato pochissimo. I libri più importanti su questo periodo restano comunque quelli editi subito dopo tale esperienza e consegnati alla storia: Rusconi, Vecchi, Del Vecchio, Farini, Torre, e poco più in là, Beghelli, Leti, scrissero le pagine più affascinanti di questa vicenda, alcuni persino in presa diretta, sotto forma di diario epistolare, come Paladini e Lazzarini.
Il bello è che, nonostante la perdurante smemoratezza degli italiani o la permanente disattitudine alla lettura, i testi di questi autori sono ormai patrimonio storico di tutti e messi on line dalle più importanti università americane, oppure da loro stesse ristampati in fotocopia. Si vede che negli USA alla tradizione storica repubblicana e risorgimentale tengono forse più di noi o magari hanno più risorse da spendere nella cultura che dà anche “da mangiare”.. contrariamente all’opinone di qualche nostro personaggio politico
Cercheremo quindi in seguito di percorrere in questa sede sinteticamente le tappe fondamentali della sua storia, dalla sua fondazione alla sua sconfitta, dovuta al perdurante assedio e bombardamento non solo delle mura, ma anche di case, ospedali, chiese e monumenti, ad opera del più potente esercito di quell’epoca: quello francese, cercando soprattutto di comprenderne la sua validità politica e sociale, in particolare ricordando quale monito essa eserciti ancora verso le nostre coscienze.
La Costituzione e l’opera della Repubblica Romana furono un lampo di luce nell’oscurità di un’epoca in cui prevalevano i velleitarismi e gli assolutismi, essa fu la reazione più fulgida sia al terrore giacobino sia a quello della tirannide che del giacobinismo adottò entusiastica lo stesso strumento di morte: la ghigliottina. Nel breve periodo in cui essa si affacciò alla vita, fece in tempo a lanciare un messaggio di libertà e di giustizia sociale che, eternamente, il futuro non potrà non accogliere, anche se noi, con questo nostro presente, ne siamo ancora indegni. Chiunque voglia tuttora parlare di Socialismo Liberale non può non fare riferimento a quel fulgido periodo, ai sui protagonisti e ai loro valori.
Lo studio sui provvedimenti sociali più significativi ed avanzati della Repubblica Romana resta quello di Demarco, nell’ultimo libro della sua trilogia sullo Stato Romano in epoca moderna fino alla Rivoluzione. Egli fa notare non solo la rilevanza e la straordinaria capacità innovativa dei provvedimenti presi, ma mette altresì in luce la fragilità di un assetto istituzionale, che, pur guardando molto avanti nel futuro, non aveva purtroppo gambe solide per raggiungerlo e purtroppo non ne trovò nemmeno in altre nazioni sorelle. Il grande paradosso di quella storia fu che finì male a causa dei francesi, anche se i rivoluzionari romani proprio sui francesi contavano, allora, per poter conseguire il loro lieto fine. Almeno su coloro che, un anno prima, in Francia e a Parigi, erano scesi nelle vie e nelle piazze erigendo barricate, e che tentarono di nuovo di insorgere il 13 giugno del 1849, con Ledru Rollin, il quale provò impavidamente a guidarli, però, essendo troppo pochi, furono presi a sciabolate dai dragoni, e il loro stesso leader montagnardo fu costretto all’esilio per ben 20 anni: tutto il tempo in cui in Francia fu al potere Napoleone III. Da allora la sorte della giovane Repubblica fu davvero segnata. Su Gabriel Laviron: artista, filologo, litografo, scrittore e antiquario francese, in ogni caso, i rivoluzionari romani poterono contare fino alla fine: si fece ammazzare dai suoi conterranei, indossando la camicia rossa garibaldina. Non si può dunque imputare ad un intero popolo, quello francese, l’assassinio infame di una repubblica sorella, dovuto solo alla “piccola ambizione imperiale” di un personaggio, che avendo rinnegato il suo passato rivoluzionario, voleva rinnovare i fasti del suo illustre antenato col nome un po’ farlocco di Napoleone III, genuflettendosi di fronte al Papa Re.
Il grande direttore di questa sinfonia di primavera, lo sappiamo, fu Mazzini e fu proprio grazie alle sue capacità morali, e diremmo anche religiose, che questa Repubblica non degenerò né in un bagno di sangue e tanto meno in formule astratte o in sterili quanto velleitari classismi.
Mazzini seppe tenere unito il popolo alle istituzioni e seppe forgiare norme e consuetudini che fossero credibili per il popolo, e nelle quali lo stesso popolo potesse incarnare la forza della legge da applicare. Il suo carisma si impose perché egli non fu uomo di parte ma uomo della Comunità tutta, senza indulgere in sterili quanto inutili antagonismi tra finte destre e finte sinistre, come accade fin troppo spesso, ancora oggi miseramente sotto i nostri occhi: “Ho udito parlare intorno a me di diritta, di sinistra, di centro, denominazioni usurpate alla retorica delle vecchie raggiratrici monarchie costituzionali; denominazioni che nelle vecchie monarchie costituzionali rispondono alla divisione dei tre poteri, e tentano di rappresentarli; ma che qui sotto un Governo repubblicano, ch’è fondato sull’unità del potere, non significano cosa alcuna” Questo affermava Mazzini il 10 Marzo 1849 alla Repubblica Romana, da poco giuntovi e con il fermo proposito di mettere già tutto in chiaro.
Si chiesero allora, con prestiti forzosi, contributi ai più abbienti, si distribuirono case ai più poveri e terre ai nullatenenti, la Repubblica Romana fu la prima in Europa a dichiarare che il credo era libero e che la fede religiosa non poteva essere una discriminante per l’esercizio dei diritti politici e civili, abolì la pena di morte, fece sparire il ghetto ebraico, concesse ampia autonomia ai Municipi, dai quali ampiamente provennero gli eletti della sua Assemblea Costituente, vennero spezzati i monopoli più abietti, come quello del sale, e si cercò di incentivare largamente iniziative per incrementare i lavori pubblici. I malati di mente vennero trasferiti da un reclusorio malsano sulle rive del Tevere in prossimità del S. Spirito, in una villa in collina a Frascati, prima residenza estiva dei gesuiti. Soprattutto si dette il buon esempio, il nuovo esecutivo della Repubblica, infatti, considerando la crisi economia e le ristrettezze, tra i primi provvedimenti che considerò necessari, adottò quello di dimezzare lo stipendio mensile dei suoi membri da 300 a 150 scudi. E senza usarlo strumentalmente per incrementare favori popolari, dato che Saffi ne parlò solo vari mesi dopo la caduta della Repubblica.
Purtroppo per un’opera così colossale mancavano le risorse soprattutto finanziarie e fiscali e lo stesso passaggio dalla moneta del papa a quella della Repubblica generò enormi problemi di cambio e di liquidità corrente che impedirono l’attuazione di molti provvedimenti e scontentarono varie categorie di cittadini. Sul piano prettamente pragmatico, quindi, forse più utile sarebbe stato un passaggio graduale, tramite un governo moderato. Ma ciò fu reso impossibile non tanto dalla presenza di Mazzini, quanto dall’ostinata volontà del papa di non voler cedere più ad alcun compromesso, persistendo nel reclamare la necessità di una reazione a tutti i costi verso ogni ostacolo che si opponesse al ritorno di un suo pieno assolutismo. I moderati come Mamiani, inoltre, non coglievano pienamente la necessità che quella Repubblica fosse un esempio ed un embrione di una istituzione e di un governo da estendere a tutta l’Italia come invece sempre la Repubblica ambì a fare. Un carteggio tra il rivoluzionario Mameli e il moderato Mamiani sulla possibilità o meno di estendere la cittadinanza anche a chi non fosse romano lo dimostra ampiamente. E la vittoria dei democratici come Mameli, fu anche il preludio ad una democrazia avanzata e basata sullo jus soli, sul fatto cioè che chi lavora e combatte per uno Stato in cui entra e risiede, ha pieno diritto alla sua cittadinanza, che la Repubblica si impegnava a concedere ai residenti immigrati dopo un solo anno. In questo, bisogna riconoscere, che essa era ancora più avanzata della nostra.
Tutto questo spiega l’ardore con cui, non solo i romani, ma anche tutti coloro che provenivano da altre parti della nostra penisola e da altrove, combatterono e sacrificarono eroicamente le loro vite a Roma, quando il bonapartismo volle imporre il ritorno del Papa Re, per mire non religiose ma del tutto egemoniche, per sostituirsi cioè all’Austria nel controllo geostrategico del rinnovato Stato Vaticano e indirettamente così, del resto d’Italia.
La Repubblica Romana emanò la sua Costituzione di un solo giorno il 3 luglio del 1849, perché l’indomani le truppe francesi, ormai padroni della città eterna, imposero la loro tutela al ritorno del papa in veste di re, tuttavia essa non firmò mai, mediante i suoi rappresentanti istituzionali, un atto di capitolazione. E quindi possiamo tuttora considerare il suo governo non soppresso ma sospeso.
Anzi, con i tempi che corrono, dobbiamo considerarlo solo sospeso, sebbene sia passato ormai più di un secolo e mezzo da allora, perché tale da continuare ad ispirarci non solo in Italia, ma anche in Europa.
Perché la libertà che si basa sui diritti e sui doveri, equamente distribuiti tra i cittadini di una Repubblica democratica, non si esaurisce mai. Ed ogni qual volta che essa è minacciata, calpestata, derisa o sopraffatta, non solo con la forza delle armi, ma purtroppo ancor di più mediante l’inedia e l’inerzia dei cittadini che inconsapevolmente, affinandosi ad oligarchi, plutocrati o demagoghi, ridiventano sudditi, essa può e deve risorgere, proprio alimentandosi dalle sue sorgenti più pure e trasparenti.
Mazzini credeva che la Patria fosse dove ogni cittadino lavora, vota e si istruisce. Una Patria quindi senza confini definiti, ma basata essenzialmente su precisi valori, diritti e doveri condivisi, Dio e Popolo. Ideale e Impegno Morale prima che materiale. Quale grande lezione per i nostri tempi in cui il lavoro è mortificato nei suoi innumerevoli e quotidiani martiri, persino giovinetti, immolati alla legge del profitto e sottratti alla scuola in una alternanza che anziché portarli alla loro emancipazione, li fa morire stritolati da un lavoro senza sicurezza di impiego e nemmeno di salute. Quale grande lezione per una democrazia aggiogata a partiti in cui è il capo e non il popolo a decidere chi e come si possa candidare ad essere eletto.
A combattere per la strenua difesa della Repubblica Romana affluirono a Roma anche coloro che non erano repubblicani, non erano comunisti o socialisti, e sebbene la stampa clericale e moderata dell’epoca, con Pio IX in testa con le sue allocuzioni, tendesse a raffigurare i rivoluzionali romani come una banda di anarchici comunistoidi e facinorosi, a combattere e a morire furono patrioti non solo dell’Italia, ma anche, considerata la presenza di artisti, intellettuali, militari e lavoratori europei di varia provenienza persino sudamericana, soprattutto di un mondo libero, di una Europa dei popoli fraterni e solidali.
Per questo la memoria di quegli eventi è tuttora non solo un monito, ma anche un esempio da seguire per tutti coloro che sono tentati di reagire a certe forme di assolutismo economico e monetario vigenti, con tendenze varie di sovranismo autoritario ed autoreferenziale, con improbabili quanto astrusi ritorni a stati nazionali autoreferenziali. La Repubblica Romana non fu infatti l’esaltazione dello Stato assoluto imposto ai cittadini ma, più concretamente, quella di uno Stato che si inchina davanti ai suoi artefici: i cittadini stessi. Scrive infatti ancora Rusconi: “Qual è il migliore dei governi? Quello che governa meno….la scienza sociale non è in alcuni uomini, ma nelle moltitudini; il movimento rivoluzionario e progressivo non si sprigiona da un individuo, ma da tutto un popolo; gli individui, i singoli uomini non sono nulla, l’azione loro è passata per ciò che riguarda la società; il culto degli individui è irrevocabilmente finito; avviso agli ambiziosi”
Avviso tuttora a vari nostri politici.
Rusconi credeva anche in qualcosa che oggi è condannato alla damnatio memoriae dalla peggiore vulgata mediatica italiana e da una politica ridotta a misero spettacolo di ombre o di personaggi in cerca di autore e tutore, ma che pur ha fatto la storia più illustre di questo paese: il Socialismo e nella sua veste democratica e Liberale, nel senso più nobile del termine in cui il liberalismo coincide con i diritti naturali civili e sociali di ogni individuo che fa parte di un popolo. Possiamo considerare serenamente e seriamente che quelli come lui fossero concretamente gli antenati dei nostri padri costituenti, in perfetta continuità, anche se un secolo dopo, tra primo e secondo Risorgimento. A tutto ciò egli credeva fermamente, ma, come ogni protagonista di quella breve e fulgida storia, non volle imporlo a nessuno, lo testimoniò solo con il suo esempio personale e con la vita, spinta fino all’estremo sacrificio. Le sue domande sono tuttora le nostre domande e quelle di una Europa che voglia essere più autentica e credibile:
“Fra la concorrenza e il monopolio vi è una via di conciliazione? Fra il fatto e il diritto vi è un’oasi di riposo nell’economia e nella società? Fra le teorie del valore e la realtà pratica vi è modo di sopprimere le lotte? Fra il salariato e il capitalista può levarsi la sbarra che mantiene perpetuo l’attrito dei tempi nostri? L’usura può essere tolta dall’ordine del giorno? Il credito può farsi generale? L’industria deve passar perennemente sotto le forche caudine del capitale? E’ equa la bilancia del commercio? Sono eque le tasse, o piuttosto devono sussistere tasse, nel significato di questa parola, in una società ben ordinata? La proprietà, che con la divisione del lavoro, ha subite tante modificazioni, ha raggiunto la sua ultima formula, e deve permanere in uno stadio che condanna alla lunga il proprietario all’atrofia e alla bancarotta, che condanna a un’inevitabile miseria il lavoratore? Non vi è una sintesi da desumere da questo conflitto di interessi, di passioni, di bisogni, da questo cozzo, potrebbe darsi, del vecchio mondo col nuovo? Ecco i problemi posti dal socialismo, problemi palpitanti di attualità, come dicono gli stessi francesi, a cui si vuol dar soluzione, e a far tacere i quali riescono inefficaci tutte le baionette del mondo.”.. “Il socialismo non è un’utopia, non è una vana aspirazione, non è un delirio di pochi ottimisti che vagheggino un mondo ideale alla maniera di Moro e di Platone; il socialismo è una verità, è il fuoco in cui si condensano tutti i raggi delle forze della rivoluzione; è il sole che rischiara due mondi, uno che cade, l’altro che sorge; e di esso può dirsi come della Repubblica diceva Bonaparte (il cugino di Napoleone III fervente repubblicano, ministro della Repubblica Romana n.d.r.): Cieco chi non lo vede”
Se quindi vi capiterà di assistere dalle mura del Gianicolo o da porta S. Pancrazio ad un classico e fulgido tramonto romano e scorgerete di lontano, il rosseggiare delle mura del Vascello, oppure, nell’ombra della sera, svettare tra gli alberi l’Arco dei Quattro Venti, ripensando con malinconia alle migliaia di morti che affollarono quelle poche centinaia di metri, eco di tutti gli altri che, nel corso della storia successiva, anche in loro nome, hanno fatto lo stesso, andando senza esitazione a morire non solo per la Patria, ma ancor di più per la libertà, la democrazia, i beni comuni e la fraternità tra gli italiani, e con gli altri popoli, se un’ombra lunga di malinconia ghermirà la vostra coscienza infelice, in particolare nello sconforto dei mala tempora che currunt, non scoraggiatevi, non smettete di lottare, e soprattutto non smettete di credere. Non c’è la notte davanti a voi, ma un sole che sorge sempre alle nostra spalle e ci incoraggia ad andare Avanti!
Siate voi stessi l’alba di quel Sol dell’Avvenire..abbiate Fede..
Sovra l’avel dell’esule, Sotto la sacra pianta, Fede diventa il trepido Desìo dell’alma affranta:
Si fanno eroi gl’ ignavi; Il gemito de’ schiavi Si fa de’ forti il fremito, Si fa terror dei re
(Goffredo Mameli)