SOCRATE, NAVALNY, MANGANELLI E LIBERTA’

LE FORZE DELL’ORDINE DEVONO GARANTIRE LA LIBERTA’ DI MANIFESTARE

Senza voler ripercorrere la via della filosofia che pur mi appassiona, quando ho appreso della morte di Aleksej Anatol’evič Naval’nyj il mio pensiero è volato subitaneamente a Socrate anche se i due protagonisti non potrebbero essere più diversi, però il veleno, la libertà di opinione, la consapevolezza di accettare la morte per difendere i propri postulati, il gelo e la rinuncia ad ogni via di fuga sono tratti che li accomunano.
Ma poi i fatti di Pisa e Firenze e il susseguirsi di proposte di riforma costituzionale che impegnano gli attori della politica, mi prestano l’occasione per  una riflessione a tutto tondo su come iniziano i Regimi Autoritari e come ognuno di noi, Repubblicanamente, debba anche più sentire l’impegno di ergersi a alfiere della Libertà.

Socrate è il padre fondatore dell’etica, della filosofia morale. E’ considerato il padre del pensiero storico occidentale.  Diede il via alla nascita del pensiero speculativo. La grecità, in buona sostanza, ha trasmesso un modo di pensare improntato all’antidogmatismo, rivolto alle problematiche ontologiche ed etiche di cui il pensiero occidentale si è nutrito, poi, anche con la tradizione giudaico-cristiana e infine, in un rapporto piuttosto complesso, confrontandosi con il pensiero laico.
Socrate subì un processo.  Era stato accusato di corrompere i giovani insegnando dottrine che, a detta dei suoi accusatori, propugnavano il disordine sociale.  Fu accusato di non credere negli dei della città con l’aggravante di volerne introdurne di nuovi.
Socrate contestò le basi stesse del processo, scientemente provocò e sfidò i giudici mettendoli pure alla berlina con una dialettica insuperabile. E se questi all’inizio non erano poi così mal disposti verso di lui, li irritò a tal punto che, alla fine, ne decretarono la condanna a morte con la cicuta. Rifiutò la via di fuga, dicendo che ovunque avrebbe rivissuto la stessa situazione:
“ Perciò mi ritroverò a rivivere la stessa situazione che mi ha portato alla condanna”.
La morte perciò come liberazione ma anche come condanna senza appello di un  sistema che si diceva democratico ma di fatto gli proibiva idee e dialogo.
E poi il freddo:
“ E ormai intorno al basso ventre era quasi tutto freddo; ed egli si scoprì, perché s’era coperto, e disse- e fu l’ultima cosa che udimmo, dalla sua voce: O Critone, noi siamo debitori di un gallo ad Asclepio: non dimenticatevene dateglielo!”

Naval’nyj non è  un filosofo, è stato un  blogger, impegnato molto nella politica russa, nella dissidenza, assurto alla ribalta delle cronache  in quanto il più noto tra gli oppositori di Putin.
E’ deceduto lo scorso 16 febbraio, a soli 47 anni, in un gulag russo in Siberia.
Solo ieri è stato restituito il corpo alla madre per permetterne la sepoltura secondo il rito ortodosso.
All’inizio si è parlato di una embolia a causa di un coagulo di sangue a seguito di una “passeggiata all’aperto” in una zona del pianeta in cui il clima è decisamente rigido. Il Times, ha diffuso la notizia che è  probabile sia morto per un pugno al cuore perché  questa sarebbe  una tecnica in voga tra gli agenti delle forze speciali del Kgb. Il colpo potrebbe essere stato sferrato, divenendo fatale, dopo che l’esponente politico dissidente era stato esposto per diverse ore al gelo artico. In effetti le prime news riferivano di una passeggiata all’aperto e si sa, il clima siberiano, artico, rigido non appare proprio l’ideale per una camminata ristoratrice o per vivere il “tempo d’aria” concesso a chi è carcerato.
La sua prigione era la  “Colonia Penale siberiana IK-3, dove si trovava rinchiuso da gennaio 2021 per “estremismo”.
Nel 2020 Naval’nyj è stato avvelenato con il Novičok, un agente nervino di quarta generazione che fa parte del programma “Foliant”  ed è prodotto in Russia, sostanzialmente si tratta di un insetticida mortale. Fu salvato grazie all’intervento della Germania e una volta all’estero avrebbe potuto chiedere asilo politico ma nel nome dell’idea di libertà non lo fece.  Decise di ritornare in Patria, di mostrare di non aver paura, di continuare la lotta anche con l’esempio, sapendo che il ritorno avrebbe significato morire.

Socrate, Naval’nyi, i tanti dissidenti di ogni regime autoritario come i nostri eroi dell’antifascismo hanno combattuto una lotta di libertà e tra queste libertà la prima è il diritto di poter esprimere il proprio pensiero, far circolare i propri ideali e manifestare pubblicamente perché questo è il sale del dialogo, tanto caro a Socrate,  il confronto è pilastro della democrazia.
Nella nostra Costituzione, dopo l’esperienza delle ventennale dittatura fascista, i Padri Costituenti stabilirono all’art. 17 che tutti  i cittadini hanno il diritto di riunirsi a condizione che la riunione sia pacifica e senz’armi. Non serve alcuna autorizzazione, questa invece era necessaria sotto la dittatura fascista!
Nell’Italia Repubblicana è sufficiente dare un semplice preavviso alle autorità che è cosa ben diversa da una richiesta di autorizzazione. La differenza è sottile, come ben sottolinea Zegrebelsky dalle pagine di Repubblica, perché il principio guida è il diritto di riunirsi e manifestare mentre un divieto sarebbe un caso eccezionale e dovrebbe essere ben motivato nella sua eccezionalità.

Quella richiamata non è quindi una sfumatura giuridica ma è un cardine essenziale delle regole del nostro vivere democratico ed è per questo che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è intervenuto con forza, probabilmente mettendo insieme tanti indizi, tasselli che rischiano di delineare un mosaico inquietante e non a caso parla di fallimento.
Le sue parole non si prestano a equivoci:
Il Presidente della Repubblica ha fatto presente al Ministro dell’Interno, trovandone condivisione, che l’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni.
Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento”.

Mattarella non è solo il Presidente ma un raffinato giurista. Le sue parole, non sono solo un monito morale ma un avvertimento per il Governo, per le Forze dell’Ordine e per l’intera Società. La parola fallimento riguarda tutti noi, proprio come Democrazia e Libertà.
L’ordine pubblico, nelle democrazie, a differenza di quanto avviene delle dittature, consiste nel garantire l’ordinato sviluppo delle libertà costituzionali.

Non è la prima volta che le Forze dell’Ordine usano le maniere forti. Ma appunto c’è da verificare se siano stati costretti all’uso dei manganelli o se quest’uso possa trasformarsi in una forma di intimidazione. E’ quindi chiamata a rispondere degli accadimenti l’intera filiera di comando ed è corretto vi sia un’indagine sui fatti di Firenze e Pisa.
Non entro sul merito della manifestazione perché, trattandosi di un diritto, quello di manifestare, esso va garantito, punto e basta!
Se i fatti dimostrassero che l’uso dei manganelli è stato inappropriato, trattandosi peraltro di manifestazioni organizzate e partecipate da ragazzi, molti dei quali minorenni, tanti sintomi provocano una diagnosi.  Nei regimi autoritari non vi si cade da un giorno per l’altro ma con un costante ruzzolare verso gli stessi. Quando ce ne si rende conto, di solito è troppo tardi, come anche la Storia, non poi tanto lontana d’Italia, ricorda.

Se sommiamo alcuni elementi come taluni atteggiamenti nostalgici, l’uso di un linguaggio sempre più rude, crudo, violento, un uso delle Istituzioni disinvolto, le proposte di modifica della Costituzione in senso rafforzativo della figura del Premier, e l’uso anche eccessivo dei manganelli, ricordo, per chi se ne fosse scordato, che Benito Mussolini, fu eletto Presidente del Consiglio il 31 ottobre 1922 e in soli 3 anni trasformò il Paese in un regime totalitario. Questo avvenne via via erodendo step by step le più elementari libertà, comprese quelle di manifestazione e opinione, usando la violenza verbale e la forza dello squadrismo, manganello e olio di ricino, eliminando ogni opposizione. Così si trasformò in dittatura nel 1925,  dissolse tutti i partiti politici e molti dissidenti o furono uccisi o, come mio Nonno, Mario Bergamo, ultimo Segretario Nazionale del Partito Repubblicano, furono costretti all’Esilio altrimenti sarebbero stati uccisi, proprio come accadde a Socrate e come è accaduto a Naval’nyi.

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