RANDOLFO PACCIARDI – IL MITE RIVOLUZIONARIO

Post di Bruno Venturi  del 18 febbraio 2018

RANDOLFO PACCIARDI, il mite rivoluzionario

Un convinto credente nell’idea di libertà, talvolta irruente, ma sempre lontano dalla politica come mestiere.
di Luciano Atticciati

Randolfo Pacciardi è stato l’«outsider» per eccellenza, un politico ma così poco portato al compromesso da poter essere considerato un agitatore prestato al mondo dell’«establishment». Raggiunse le più alte cariche della politica, ma dentro di sé rimase sempre un vivace contestatore. La sua fisionomia bonaria non faceva certamente pensare a quella di un rivoluzionario, ma la sua vita ricordava quella dei grandi uomini d’azione del Risorgimento.

Tutta la sua vita è stata un’avventura. Uomo della Sinistra e volontario nella Prima Guerra Mondiale; pluridecorato, ex-combattente, ma implacabile nemico del fascismo, a prima vista si direbbe una contraddizione vivente. Una specie di D’Annunzio. Sapeva imporsi, non attraverso gli accordi di corridoio, ma attraverso quelle che furono chiamate le «pacciardate», degli exploit nel mezzo di importanti riunioni politiche che lasciavano interdetti i partecipanti.

Nel ’22 si scontrò a duello con il segretario del Fascio di Grosseto, la sua città, nel ’23 interruppe clamorosamente un discorso di Mussolini, e nello stesso anno fondò «L’Italia Libera» con Raffaele Rossetti, uno degli eroi della Grande Guerra, un’associazione di ex-combattenti di idee democratiche. L’organizzazione avrebbe dovuto opporsi alla nascente dittatura anche con il ricorso alle armi. Un paio di anni dopo venne condannato a cinque anni di confino per le sue attività politiche, condanna alla quale riuscì a sottrarsi riparando in Svizzera. Nel ’33 divenne segretario nazionale del Partito Repubblicano al quale aveva aderito fin da ragazzo, poco più tardi organizzò uno dei più importanti gruppi di volontari per la difesa della repubblica in Spagna. Qui conobbe una situazione che cambiò notevolmente il suo modo di pensare, ebbe modo di sperimentare la violenza dei gruppi comunisti, la loro assoluta mancanza di autonomia da Mosca, il loro rigido fideismo. Su «Cuore da battaglia» Pacciardi ha scritto: «Volevano che il battaglione “Garibaldi” andasse a Barcellona a massacrare gli anarchici… [Togliatti] era di certo un uomo molto colto, intelligente, abilissimo, spregiudicato. Era sicuramente ad Albacete quando fu deciso il massacro degli anarchici. Data la sua alta posizione nell’Internazionale comunista, non è possibile pensare che fosse estraneo alla decisione di condurre la tragica operazione».

Pacciardi stranamente non ebbe un ruolo importante nella Resistenza, si impegnò maggiormente nel ’46 nella affermazione della Repubblica, e negli anni in cui il Partito Comunista minacciava apertamente la nascente democrazia si occupò all’interno del governo di questioni di ordine pubblico. Non assunse posizioni di particolare rilievo, interessante comunque fu il suo impegno nella adesione del nostro Paese all’Alleanza Atlantica e nella difesa di Trieste. In particolare Pacciardi nelle sue memorie ricorda un episodio avvenuto alla Camera: «Parlarono tutti, Togliatti, Nenni, discorsi durissimi, infuocati. E una volta, in piena aula di Montecitorio, il comunista Ilio Barontini si mise a gridare, rivolto verso di me: “Questo qui lo dovevamo ammazzare in Spagna. Non l’ho fatto e me ne pento”». Diversamente da quanto spesso ritenuto, Pacciardi non sostenne sempre posizioni rigidamente anti-comuniste e nel 1952 si oppose al tentativo di formare un grande blocco dai democristiani ai missini per le elezioni amministrative a Roma. Nello stesso periodo Pacciardi, allora Ministro della Difesa, venne accusato di atteggiamenti discriminatori verso gli operai di simpatie comuniste, ma tali accuse risultarono sostanzialmente prive di fondamento, i lavoratori oggetto di licenziamento, risultavano responsabili di sabotaggio e di altri atti particolarmente gravi.

Nel 1960 Pacciardi venne accusato da un giornalista di un incredibile piano per rapire il Presidente della Repubblica Gronchi, ma la questione non ebbe seguito. Negli anni successivi Pacciardi sembrò interessarsi più di politica estera, materia più congeniale ai grandi temi ideali, che di ordinarie questioni politiche interne. Tornò comunque in primo piano per la sua ferma opposizione anche all’interno del Partito Repubblicano all’ingresso dei socialisti nel governo. A proposito di tale vicenda si parlò anche di soldi inviati da Fanfani e Mattei per corrompere uomini della sua corrente. La questione socialista produsse gravi crisi in tutti i partiti di Centro, Pacciardi riteneva i socialisti schierati su posizioni scarsamente democratiche, ancora eccessivamente legati al Partito Comunista, e si scontrò pesantemente su questo con Ugo La Malfa, fatto che provocò l’espulsione dal partito. Aldo Moro decisamente più pragmatico di Pacciardi credeva invece alla trasformazione socialista. Alla fine un intervento dell’onorevole democristiano presso Papa Montini spinse anche gli ultimi scontenti del suo partito ad accettare il nuovo governo.

Non molto tempo dopo, nel 1964, venne fuori lo scandalo del Piano Solo. Il settimanale «L’Espresso» sbrigativamente bollò come un tentativo di colpo di Stato il piano preparato dal generale De Lorenzo, ex-combattente della Resistenza, che prevedeva iniziative militari nel caso di tentativi di rovesciare le istituzioni. Il giornale venne condannato per calunnia, ma negli anni successivi si ebbero comunque un gran numero di congetture su complotti da parte della estrema Destra sostenuti da importanti esponenti di governo, e di teorie, quali la «strategia della tensione», che poggiavano su elementi piuttosto dubbi.

Nello stesso anno Pacciardi fondò l’«Unione Democratica per la Nuova Repubblica», insieme con il Generale Cadorna, capo militare della Resistenza, e con l’adesione di un gran numero di giovani di Destra. Negli anni successivi Pacciardi sembrò allontanarsi dalle tradizionali posizioni di Sinistra, si impegnò molto nella critica al sistema dei partiti che già allora godevano di notevoli benefici, e propose, questione che allora fece molto scalpore, un sistema presidenziale sul modello francese che aveva consentito il superamento di gravi crisi e la formazione di governi più stabili. Da allora l’ex-leader repubblicano venne visto come un pericoloso nemico delle istituzioni, e apostrofato anche in Parlamento come «fascista». Le posizioni di Pacciardi erano tutt’altro che anti-democratiche o demagogiche, erano di notevole spessore culturale e condivise da importanti giuristi. Nel 1968 al congresso della sua associazione parlò delle nuove realtà che si erano affermate nell’Europa Orientale: «Dopo mezzo secolo di esperienza di “società socialiste” non si può negare che la terribile profezia del grande apostolo italiano [Mazzini] ha avuto netta conferma. Col sistema del capitalismo di Stato, cioè della espropriazione generale dei mezzi di produzione e di scambio a favore dello Stato, vale a dire di un partito che rappresenta e dirige lo Stato, si sono espropriate anche le coscienze e si sono creati regimi tirannici “senza possibilità di riscatto”». Anche nel mondo occidentale non mancavano i problemi: «La costituente del 1946 ci ha ridato un regime parlamentare molto simile a quello che esisteva prima della Grande Guerra 1915-18 con la sola differenza di un capo pressoché decorativo che è elettivo anziché ereditario. Sono bastati pochi anni perché questo regime pseudo-parlamentare subisse le stesse degenerazioni partitocratiche che aveva subito la Francia. I suoi difetti essenziali sono: la confusione, l’incertezza e l’instabilità del potere; l’assenza di responsabilità e di controlli; l’occulta oligarchia sostituita alla democrazia; la macchinosa lentezza delle decisioni; la corruzione morale insita nel sistema… Una volta eletti, “i rappresentanti del Popolo” debbono soggiacere alla disciplina e allo stretto controllo dei partiti che li hanno designati agli elettori».

Nel 1974 Pacciardi venne accusato di cospirazione politica insieme ad un grande nome della Resistenza, Edgardo Sogno. Edgardo Sogno ha scritto che negli anni Cinquanta era impegnato nella costituzione di un’organizzazione anti-comunista, «Pace e Libertà», che si affiancava a quella prevista dalla NATO, «Stay Behind». Tale organizzazione comprendeva democristiani, liberali e altri uomini di Centro, Scelba, Taviani e Saragat erano in qualche modo vicini. Dell’organizzazione facevano parte anche ex-comunisti caduti in disgrazia che non digerivano la dura disciplina di partito, erano invece esclusi uomini di estrema Destra. Nei colloqui con l’Ambasciatrice americana Clara Boothe Luce venne deciso di mantenere l’attività nei limiti scrupolosi della legalità. Dopo un lungo periodo di pausa, l’attività riprese nel 1970 con iniziative più dure. Diversamente da alcune accuse, Sogno e i Comitati di Resistenza Democratica non ebbero alcun tipo di rapporto con i terroristi che commisero stragi in quel periodo, né in generale collegamenti con l’estrema Destra o la P2 di Licio Gelli. Ebbero invece buoni rapporti con Pacciardi, Cossiga e Craxi. Uno degli obiettivi proclamati era di dare un chiaro messaggio che c’era nel nostro Paese gente disposta a battersi (andando anche oltre la legalità) per impedire un’involuzione totalitaria. Sebbene Sogno e Pacciardi siano stati scagionati dalle accuse di cospirazione politica, Sogno in Testamento di un anti-comunista ammise il tentativo di colpo di Stato (sostanzialmente bloccato dal Ministro Taviani), anche se con finalità non estremiste ma solamente finalizzate ad impedire la formazione di una dittatura di tipo comunista nel Paese.

Negli anni successivi Pacciardi assunse posizioni politiche più prudenti ed infine rientrò nel suo amato Partito Repubblicano. Il suo ardore e il suo sincero amore per la libertà non potevano fargli tacere ciò che molti preferivano tacere sugli aspetti terribili dei regimi totalitari fascisti e comunisti. Non venne capito e si attirò critiche a non finire, divenne un leader decisamente ingombrante e destinato ad essere ingiustamente dimenticato.

(febbraio 2008)

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