SE IN ITALIA CROLLA ANCHE IL TABÙ DELLA RAGIONERIA GENERALE

LE ISTITUZIONI, IN PARTICOLARE GLI ORGANI DI GARANZIA, NON DOVREBBERO ESSERE MAI ASSERVITE ALLA POLITICA

di Franco Torchia

Questo articolo sulla vicenda del superbonus 110 legata alla preparazione della Legge di bilancio è stato pubblicato oggi sul Nuovo Giornale Nazionale.

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Negli anni della mia formazione ho imparato come nel nostro Paese il regista istituzionale abbia messo i piedi una struttura della Stato fatta di pesi e contrappesi, di regole istituzionali, di competenze amministrative, di poteri neutri, di garanzia e di vigilanza.

Sono gli avamposti dello Stato che rappresentano anche i punti di equilibrio di tutta l’architrave istituzionale.

Una di queste istituzioni è la Ragioneria Generale dello Stato che ha il compito istituzionale di predisporre lo schema di bilancio di previsione annuale, del disegno di legge finanziaria e dei provvedimenti collegati.

Successivamente, dopo un serio percorso parlamentare, la politica ed il Governo si assumono la paternità dei provvedimenti.

Il governo, in questi giorni, sta preparando la Legge di Bilancio che deve presentare in Parlamento il 27 settembre insieme alla Nota di Aggiornamento al DEF.

Come sempre accade sui media arrivano notizie di ogni genere sui contenuti della manovra finanziaria.

Quest’anno è scoppiata una babele sul superbonus 110 che ha attirato anche la nostra attenzione.

Soprattutto perché si tratta di una sorta di bubbone che da molti mesi sta infestando tutto l’apparato dello Stato sia per gli effetti devastanti che rischia di avere sulle prospettive economiche del nostro Paese, sia per i riflessi di natura sociale che potrebbero ripercuotersi su migliaia di imprese e famiglie italiane.

A destra e a sinistra e sui giornali si danno i numeri sui costi e sui benefici dello strumento adottato nel maggio 2020 dal Governo di Giuseppe Conte, in piena pandemia.

Se ne discute animatamente perché non si tratta di bazzecole ma di fior di miliardi di cui il Governo dovrà tener conto per impostare la manovra finanziaria.

Il provvedimento, che era finalizzato al miglioramento dell’efficienza energetica delle abitazioni (anche attraverso interventi di demolizione e ricostruzione) e di misure antisismiche sugli edifici, consiste in una detrazione pari al 110 per cento.

Nella nota tecnico-illustrativa alla legge di bilancio 2021 il governo Conte scriveva che i costi sarebbero stati complessivamente di 33,58 miliardi spalmati su 15 anni di finanza pubblica.

Il provvedimento nel corso di questi tre anni ha subito alcune importanti modifiche, quasi tutte con l’obiettivo di ridurre gli impatti sul bilancio dello Stato, ma ogni volta è stato necessario assegnare risorse aggiuntive.

Alcune di queste modifiche collegate alla questione della cessione dei crediti hanno innescato una serie di polemiche da parte di chi aveva sostenuto il provvedimento in Parlamento e nel Paese e respingeva con forza le accuse relative agli ampi fenomeni di abuso emersi per l’utilizzo spesso truffaldino del superbonus.

Tanto che la Camera dei deputati ha avviato una indagine conoscitiva anche per avere una idea chiara degli effetti del provvedimento sulla crescita economica del Paese e sul bilancio dello Stato.

E’ stato proprio nel corso di questa indagine che sono venute fuori enormi contraddizioni sugli effetti macroeconomici e di finanza pubblica derivanti dagli incentivi fiscali in materia edilizia.

In particolare quando dall’Audizione del 16 marzo del 2023 del rappresentante dell’Ufficio parlamentare di bilancio è emerso chiaramente come, a fronte di una previsione iniziale pari a 35 miliardi per l’intero periodo di validità della misura, si sia arrivati a febbraio 2023 a crediti di imposta per oltre 75 miliardi.

Galeotta fu la successiva audizione del 23 maggio 2023 della Ragioneria Generale dello Stato che presentava una tabella con una stima di 67,12 miliardi di euro per il saldo da finanziare.

E allora ci chiediamo come mai questa incongruenza con i dati non solo dell’Ufficio parlamentare di bilancio ma anche con quelli pubblicati dall’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie e l’energia, proprio nello stesso mese secondo la quale il totale degli investimenti ammessi a detrazione erano già pari a 77 milioni di euro, oltre 10 miliardi rispetto al dato della Ragioneria.

La stessa Corte dei Conti nell’ambito della stessa indagine ha richiamato il dato di Enea.

Il dubbio è laico ed è necessario incentivarlo e sostenerlo quando si tratta di ricercare la verità, soprattutto quando ci si trova davanti ad un documento la cui titolarità appartiene ai vertici della Ragioneria, al Dott. Riccardo Barbieri Hermitte (Direttore Generale del Tesoro), al Dott. Giovanni Spalletta (Direttore Generale delle Finanze), al Dott. Biagio Mazzotta (Ragioniere Generale dello Stato).

Il baluardo dei conti dello Stato, la garanzia del futuro economico di questo Paese, aveva commesso un errore.

Si trattava di una semplice svista o di qualcos’altro ?

Come da sempre siamo abituati a fare abbiamo effettuato delle verifiche su quanto avevamo scoperto.

Utilizziamo alcuni dati per confermare che non si tratta di una semplice svista ma di un errore perseguito con costanza in questi due anni di vita dello strumento fiscale.

L’errore è partito proprio con il varo del provvedimento del governo Conte.

La prima previsione la ritroviamo nella Nota illustrativa alla legge di bilancio 2021 nella quale il governo Conte ha scritto che il saldo netto da finanziare é di 504 milioni per il 2022 e 2,2 miliardi per il 2023, per un totale di 35 miliardi fino al 2035.

La seconda previsione si trova nella Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e finanza 2022 approvata il 28 settembre 2022, quando il Governo Draghi fu costretto, sulla base dei dati pervenuti dalla Agenzia delle Entrate, quasi a raddoppiare quelle cifre rivedendo al rialzo la stima tendenziale addirittura a 61,2 miliardi di euro (oltre il 67% in più rispetto alle stime del DEF 2022).

Poco meno di due mesi, il 22 novembre del 2022, appena insediato il Governo Meloni ha proceduto alla integrazione della Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e finanza 2022 e l’impatto del Superbonus sui conti dello Stato è stato ulteriormente modificato e portato a 67,12 miliardi, con una differenza di 32 miliardi rispetto alla valutazione iniziale.

La terza previsione è quella del 28 aprile 2023 quando il Parlamento ha approvato il Def 2023 che stranamente mantiene la stessa cifra di 67,12 miliardi di euro, mentre come abbiamo visto già il 16 marzo 2023 l’Ufficio parlamentare di bilancio riportava nero su bianco la cifra di oltre 75 miliardi ed i dati dell’Enea che parlavano di 77 milioni.

Ancora oggi il contatore dell’Enea continua a macinare numeri e proprio nei giorni scorsi, il 31 agosto ha comunicato il totale degli investimenti sul superbonus 110 pari a 85 miliardi di euro, ma complessivamente i crediti ceduti, a fine agosto, erano 93 miliardi, creando forte allarme nel ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e nella presidente del consiglio Giorgia Meloni che si apprestava a riunire il consiglio dei ministri.

Ci si avvicina quindi inesorabilmente verso i 100 miliardi.

Una breve parentesi per dire che, volutamente, in questo scritto omettiamo di entrare nel merito della polemica che riguarda gli effetti del superbonus sul Pil ritenendo soddisfacente quanto riportato nell’analisi dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani che, partendo dal dato relativo agli investimenti in abitazioni che sono circa del 5% del Prodotto Interno Lordo, calcola un apporto del superbonus di uno 0,5% in più di Pil per l’anno 2021 e di uno 0,9% nel 2022.

Concludiamo dicendo che la politica ci ha abituato a grossi errori che poi ricadono sulle spalle degli italiani, ma abbiamo lo strumento del voto che, nel bene e nel male, ci dà la possibilità di scegliere e rimediare.

Quando però commette evidenti errori, addirittura di notevoli proporzioni, chi è chiamato istituzionalmente a “garantire la corretta programmazione e la rigorosa gestione delle risorse pubbliche” ci pervade un pericoloso senso di frustrazione e nel contempo di amarezza per aver accertato la perdita di autorevolezza di una istituzione che, unitamente alla Banca d‘Italia, deve assicurare certezza nei conti pubblici e stabilità finanziaria.

Un grande Istituto, nato più di 150 anni fa insieme allo Stato unitario, che abbiamo potuto apprezzare grazie ad uomini che abbiamo avuto il piacere di conoscere, come Andrea Monorchio, che ha guidato l’Istituto per 13 anni.

E’ il valore di questi uomini che hanno dato prestigio alle Istituzioni che rappresentavano che ci consente ancora di sperare e di credere, perché se dovesse venir meno la fiducia in questi punti di riferimento rischierebbe di venir meno anche la fiducia nella democrazia.

Di seguito il link:

http://www.nuovogiornalenazionale.com/index.php/italia/opinioni/13662-se-in-italia-crolla-anche-il-tabu-della-ragioneria-generale.html

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